martedì 16 luglio 2013

Notti da cui ricominciare

Ci sono certe notti, certi sabato, certi venerdì che non li puoi raccontare.
non li puoi spiegare.
C'è questa cosa, chiamalo divertimento, chiamalo notte, chiamalo sentirsi vivi a cui non so, non sappiamo rinunciare.
Ci sono notti in cui il vento e la musica ti arrivano sulla faccia alla stessa velocità.
E quello che riesci a fare è solo chiudere gli occhi e lasciare il corpo.
Lasciare che il vento e la musica lo spingano.
Ci sono notti in cui guardi i tuoi amici in faccia, e scoppi a ridere. In cui farti aprire la birra con l'accendino diventa la complicità di essere una squadra. In cui merito o colpa di un bicchiere di troppo ti racconti, lasci andare le parole, piangi e poi ti abbracci. E ti rialzi e ridi e balli.
ci sono notti che chiudono le porte a tutto quello che sta fuori.
Notti fatte apposta per dimenticare tutto quello che sta fuori.
Ci sono notti in cui tutto finisce e notti in cui tutto inizia.
ci sono notti in cui scoppiano baci inutili e scappano ti amo, a cui in altre notti si aggiungeranno dei per sempre .
Notti di storie sbagliate o di amori perfetti.
Notti di piccole trasgressioni o di grandi errori.
Ci sono notti in cui devi fermare l'auto lungo una strada per ballare, perchè ciò che dovresti forse contenere non lo vuoi contenere, e ballare  scalzi in un parcheggio rimette in asse il mondo, il cuore, le ore.
Ci sono notti che ti regalano ricordi su cui sorridere per giorni.
E ci sono le mie notti, quelle in cui scrivo. Notti d'estate  in cui sul pavimento ancora caldo di sole, sotto il cielo fresco di stelle, mi siedo a fumare e le idee arrivano una sopra l'altra, a cavallo di ricordi.
E magari non scriverò, rimarrò solo lì a sentire il cuore che mi batte in petto ed un profumo non mio ancora sulla pelle.
Ed ogni volta, in ognuna di queste notti,di tutte queste notti, senti che il domani è ancora tanto, troppo, lontano per chiedersi che alba sarà.
Ogni volta, ognuna di queste notti, in ogni giorno in cui torna a farsi luce, senti che la vita ti ha regalato uno spazio da cui ricominciare.
Uno spazio grande una notte.

martedì 9 luglio 2013

Fa più schifo la fiaba che le streghe.

Chi lo sa se e quanto c'entrano questi miei pensieri. Chi lo sa se, tra i tavolini dei bar, potrò dare uno spunto per dei discorsi che non siano solo pettegolezzo e denigrare il prossimo, ma finalmente ci si chieda quanto ciechi, sordi ed egoisti siamo. Sto parlando di Barbarano. Sto parlando delle disumane "insegnanti" che maltrattavano un ragazzino affetto da una grave forma di autismo. Mi ripeto: siamo fuori il mio Comune. Forse a qualcuno non interessa quello che ho da dire. Ma a me interessa dirlo. Si volti pagina, si chiudano gli occhi. Si faccia quello che si vuole: io ho delle cose da dire. Perchè una di quelle due arpie è stata anche la mia insegnante in terza media. Proprio ad Orgiano. E se l'orrore ti è stato ad un palmo dal naso e fatalità la tua sensibilità di ragazzina te la fa mettere tra i ricordi peggiori della scuola, io ce le ho delle cose da dire. Io ce li ho dei pensieri da condividere. Pensieri che fanno male, che daranno un gran fastidio, che urteranno la coscienza di noi che ci definiamo civili. Voglio provare a mettermi dentro al cuore delle vittime di questa faccenda, perchè da fuori magari è sopportabile, ma non ne abbiamo il diritto di sopportarlo: dobbiamo provare a capire che cosa è stato causato in quella scuola. Mi piace pensare, prego Dio sia cosi, che Lui non abbia davvero sentito tutto. Che non lo abbia provato. Che il suo misterioso mondo dopo averlo esposto all'umiliazione, lo abbia protetto dal riconoscerla. Ma vorrei anche dirgli che se mi sbagliassi, io, che il dono della parola ce l'ho, in realtà non ce le ho delle parole per chiedergli scusa. Per cancellare quello che ha vissuto, per rimuovere i lividi nell'anima. Io non credo esista un modo per chiederTi perdono. Penso a quel Papà. Alle volte in cui si è rivolto alla scuola e si è sentito rispondere che quegli ematomi se li era procurato da solo. Penso a quello che deve aver avuto nello stomaco quando si è rivolto alle forze dell'ordine. Il sospetto, la sensazione, che non mente, terrificante che sia tutto reale, che verrà solo accertato. E poi proprio la certezza: la pancia che ti si svuota e si riempie di catrame. Una rabbia sorda. L'impotenza più lacerante. Il senso di colpa per non esserti accorto prima. Le domande. Non riuscire a darti nessuna risposta. E poi c'è Lei. La mamma. Me la immagino guardare la pelle del figlio, ora, e vederci segni ovunque. La immagino aver sentito il cuore fermarsi, al momento della verità. Farsi di cemento. Essere stata la donna più compassionevole del mondo forse, come il marito, ma entrambi in quel momento aver pensato che neanche la morte di quelle due (...o quelle tre) li avrebbe appagati. Sentire che neanche il Cielo è abbastanza grande per essere preso a pugni. Lei, che per prima lo ha preso tra le braccia, Lei che per prima si è accorta che qualcosa non andava, Lei che si è sentita sempre dire che il suo è un ragazzo speciale, ed è così, lo sarebbe in ogni caso. Lei che, tra i gesti inconsueti del suo bambino, sa riconoscere tutti i suoi bisogni, desideri, gioie e paure. Lei, che lo sa quanto sia difficile, e frustrante, e stancante, è vero, crescere e prendersi cura di un ragazzo come il suo. E probabilmente le è costato tanto lasciarlo in mani estranee: nella diffidenza di lui ha imparato a riflettersi anche Lei, un pò per comprenderla, un pò perchè se non lo è la Mamma sua complice, sua compagna di squadra, chi potrebbe esserlo. Ma ce l'ha messa tutta. Lo sa che per il suo bene, anche se vorrebbe tenerlo sempre protetto nel nido di casa sua, tra le persone e gli oggetti che ama e conosce, deve lasciarlo andare. Deve andare a scuola. Deve imparare a "colorare dentro i bordi". Come si sentiva dire da una di quelle streghe nei video. E Lei ha avuto fiducia. Voleva che anche lui colorasse, dentro i bordi, come tutti, e avesse qualcuno che glielo insegnasse. Lei che, in quei video, sente dire che "lo parcheggiava" a scuola: suo figlio non era parcheggiato. Suo figlio andava a scuola, come vanno gli altri, come siamo andati tutti. Aveva due insegnanti, si presumeva, preparate a seguirlo. Pagate per farlo. E c'era della gente, dell'altra gente, attorno a quell'aula che avrebbe dovuto intervenire. Lui non era parcheggiato. Lui era un figlio che andava a scuola ed ha il diritto di continuare ad andare. In quella gente, quella che si vede passare attraverso la porta aperta, faccio ancora più fatica a immedesimarmi, perchè non riesco a credere che io, mia madre, uno a caso tra i miei amici, sentendo quelle grida, quelle parole non avremmo anche solo detto "che succede qui?". Non lo riesco a capire, non lo riesco a giustificare, non lo riesco a credere. Non siamo umani, non definiamoci civili. E se offende questa mia conclusione allora non permettiamoci di prendere le distanze: va condannata con il disprezzo più totale questa faccenda e simili. Vanno disprezzate queste persone che si vedono nei video. Vanno disprezzate quelle che hanno fatto finta di non vedere. Vanno disprezzate quelle che hanno lasciato correre. Vanno disprezzate quelle che ora non condannano. Vanno disprezzate quelle che dicono semplicemente "c'è una magistratura". Vanno disprezzati quelli che dicono che "la scuola funzionava benissimo". Perchè in ogni caso simile a questo sono state dette sempre le stesse cose. E se vogliamo che non accadano più dobbiamo iniziare a disprezzarle. Non funziona neanche più la scusa dell'egoismo: ancora più per questa ragione, cari egoisti, per crearci la nostra "nicchia perfetta e sicura" dovremmo essere tesi a distruggere qualsiasi azione che la possa minacciare. Queste azioni, gente civile o incivile, nobili d'animo od infamii, queste azioni minacciano le nicchie perfette di tutti. Anche se a me, la mia personale nicchia, non basta: io voglio ci siano nicchie perfette soprattutto per quelli come Lui. Per i Papà come il Suo. Per le Mamme come la Sua. E voglio nicchie buie, senza uscita, per tutte le streghe e gli orchi.