Adoro imparare cose nuove nei momenti di attesa per sopperire ai buchi che i tarli mi fanno nel cervello. Ad esempio ho appena imparato che oggi è San Zama, PROTOVESCOVO di Bologna... beh. Questa mi mancava. cos'è un protovescovo?!?! É un termine affascinante. Un prototipo di vescovo. Chissà come dev'essere un protovescovo e cosa gli succede quando diventa vescovo intero. Anche io non sono del tutto una donna, non intera comunque... ergo da ora sono una protodonna. ELEONORA LA ELE VIGNATO PROTODONNA. fuckyeah.
venerdì 28 settembre 2012
mercoledì 26 settembre 2012
ATTESA di N. Marino
E ti aspetti chissà cosa.
Con lo sguardo chiedi come sempre,
senza fare un passo,
nascosto dietro il tuo parlare muto.
Io declino la richiesta.
Guardo altrove...il sole che splende...
la neve che cade...
i bimbi che corrono...
il freddo tagliente.
Il pensiero del mio uomo mi sovviene,
da lontano risponde ed io mi rassereno.
Passo oltre il tuo volto triste, imbronciato.
Come bimbo a cui si nega la marmellata.
Come uomo che non trova la sua strada.
Capricci muti, pensieri inespressi urlano
“tempo verrà”
con una nota di rancore e di melanconia insieme.
Ma il nostro tempo è andato senza di noi.
Ora segue la sua strada che non ci appartiene più.
Tu lo hai scelto, io l’ho voluto.
Lontani, abbiamo alzato i nostri muri,
voltando le spalle,
ognuno pensando di aver scelto la maniera giusta,
l’unica via o semplicemente sperando
che l’altro ci avrebbe ripensato,
che il tempo avrebbe portato consiglio,
come dicono i nostri vecchi e invece...
ciascuno stanco se n’è andato.
Conosco ogni tuo passo, ogni pensiero.
Le parole non dette, i desideri inespressi.
Ma non ho più la forza né la voglia
di raccogliere, ascoltare.
Ho serrato la porta.
Tu non entri “vietato l’accesso” ho scritto.
Non mi ingannano più i tuoi sguardi,
cadono via come goccia di pioggia,
scivolano sul lastricato fino a valle,
conoscono la via.
Troppo male hanno prodotto in passato
per degnarli ancora di attenzione.
Riconosco le modalità in te
e in chi ti assomiglia da cui
pur mi sento ancora attratta ma...
Sorrido e passo oltre mentre penso “già dato!”.
Ora è tempo di prendere per me
e tu non hai nulla che io voglia ancora.
Sento gli occhi delusi, tristi,
sento la voce muta che mi chiama,
fantasma di uomo, non stringi più il mio cuore
nelle tue mani non affondi più la lama
per farlo sanguinare, mordi il freno,
ma non più le mie carni.
Ora libero, il cuore
corre via memore di sentimenti inesistenti.
Leggo nel tuo sguardo il rimpianto
e mi verrebbe da gridarti “pirla”,
ma mi manca la voce della vendetta.
Sento solo una gran tenerezza
che mi sussurra piano: “non serve,
non compensa della sofferenza,
non gratifica il suo rimpianto”.
A te rimane dentro vivo il ricordo
di ciò che non hai più;
sogni possibili senza gambe.
E’ sempre stato così:
desiderare ciò che non possiedi,
buttare via quanto già avuto.
Non si recupera
ciò che è stato sparso al vento,
senza pensare, senza riflettere,
solo perché chiedeva fatica,
energia, rinuncia.
Spesa mai sostenuta, tutto gratuito
Hai sempre chiesto e preso.
Ti seguo da lontano agire come sempre,
non sei cambiato, non hai imparato nulla,
ogni volta spalanchi gli occhi per la meraviglia,
scopri, come la prima volta,
l’atteggiamento degli altri,
di quelli che pur conosci da tempi lontani
e che nulla dicono di nuovo per gli altri.
Per te è nuovo ogni volta
anche il vecchio liso e stinto
Tu non ascolti che te stesso
non vedi altro fuori di te solo tu,
che ti espandi, il mondo sei tu,
ignori tutto ciò che non “comprendi”.
Vivi contro tutto ciò che da te si diversifica
e inglobi il resto.
Come la gramigna sei selvaggio e resistente.
Invadi ogni terreno e attecchisci anche sulla roccia.
Vivi di poco, poco sole, poca acqua,
poca luce, come vegetazione primitiva.
Non hai colpa.
Non puoi dare ciò che non possiedi.
L’attesa è vana.
E’ tempo sprecato.
E’ nota non suonata.
E’ il vuoto che si riempie di sé.
martedì 25 settembre 2012
sabbia fino al cuore
Invade la bocca come un bacio non voluto.
Scioglie gli occhi in gocce che non posso dire.
E quei vetri ormai lucidi dal quale credevo di vedere son tornati a farsi opachi.
E' una delusione che non cambia mai, ritorna sempre e sempre più uguale.
Ogni volta che sbaglia con me sbaglia meglio.
Non cambia quella sensazione di erba secca sotto la schiena, di un mozzicone che cade davanti al viso, di un peso tutto premuto sulle caviglie.
E' cambiata solo la stagione che, allora, anche se calda era cruda.
Certe cicatrici tornano ad aprirsi ogni volta che succede. a lasciar entrare sabbia nel cuore .
Guardare indietro e chiedersi quale è stato il punto in cui ho sbagliato strada, in cui ad un bivio ho avuto la possibilità di scegliere e vedere invece che la strada era una sola.
E ripercorrendo le strade a ritroso rivedere i gesti, le parole. non miei.
Come rifiuti qualcuno rovescia un secchio davanti alle gambe e dice che è roba mia.
Di nuovo. Tutta tonda la colpa, tutta piena come i sassi.
Quella sensazione di erba secca sotto la schiena, di un mozzicone che cade davanti al viso , di un peso tutto premuto sulle caviglie.
La cercavo anche allora la mia colpa, mentre ingoiavo le urla e dentro la testa infuriava per non farmi vedere, sentire, capire.
Quelle facce che conoscevo così bene, di cui avrei cercato i contorni la notte se mai avessi avuto paura: facce amiche.
Quelle facce che tornano a far male, oggi come allora.
Graffi sulla schiena. Entra sabbia fino al cuore.
giovedì 20 settembre 2012
il male che non riesco a bruciare
musica...
ho messo un vuoto tra le parole e il cuore.
una parete che fosse fatta di aria e di cartone, una tela di ragno che prendesse le paure, le delusioni e i rimorsi, un vetro su cui incollare le ferite e il sangue e le lacrime.
la volevo più cieca dell'acqua. più sorda del vuoto.
poi il cielo si è fatto piccolo e tutto quello che reggeva è sotto ai piedi, lo vedo solo se abbasso gli occhi.
sono diventata così grande e così ingenuamente furba. con una bocca così piena di sorrisi e pugni vuoti.
sola come un sospiro.
e vorrei un abbraccio che mi tenesse unita, uno scoglio asciutto dove non si scivola, una mano sotto ai capelli ad accarezzarmi il collo, una voce che sussuri dentro alla mia bocca.
e vorrei che qualcuno aprisse le mani davanti a me e ricordasse a me per prima che il ferro non è la mia materia, che di implodere nemmeno ci si accorge.
e vorrei una salita che mi portasse sulla cima dove il cielo di nuovo è infinito e rosso e denso.
e vorrei una scala dove salire scalza e non guardare giù mai più.
esausta quando tutte le forze sono impegnate a cercare nella nebbia un faro e fuggire appena il porto è sicuro.
la tempesta, sempre la tempesta come habitat naturale.
cercarmi, perdermi, lasciarmi, ritrovarmi, strattonarmi.
fare a pezzettini piccolissimi la me che non va, ricomporla desiderandola uguale, morirne quando esce diversa.
a vederti così sembri un soldato d'altri tempi, di quelli per cui vivere o morire è lo stesso, l'importante è solo la guerra.
allora sei tu il camino ideale dove gettare ciò che di fastidioso c'è, perchè tu sei fuoco e bruci, e cancelli, e sopporti, e non cedi.
e quando soffri lo fai in silenzio. e quando piangi invece si vede. e quando ti arrabbi invece gridi. e quando sei ferita invece usi le parole.
e non devi essere messa in dubbio: devi essere fuoco e sforzarti di alzare fiamme capaci di dissolvere quanto di peggio ti getteranno addosso.
possono farlo. se non riuscissi a bruciarlo o si vedrebbe o grideresti o useresti le parole.
dimenticano che nel silenzio il fuoco non scalda. muta cenere.
ho messo un vuoto tra le parole e il cuore.
una parete che fosse fatta di aria e di cartone, una tela di ragno che prendesse le paure, le delusioni e i rimorsi, un vetro su cui incollare le ferite e il sangue e le lacrime.
la volevo più cieca dell'acqua. più sorda del vuoto.
poi il cielo si è fatto piccolo e tutto quello che reggeva è sotto ai piedi, lo vedo solo se abbasso gli occhi.
sono diventata così grande e così ingenuamente furba. con una bocca così piena di sorrisi e pugni vuoti.
sola come un sospiro.
e vorrei un abbraccio che mi tenesse unita, uno scoglio asciutto dove non si scivola, una mano sotto ai capelli ad accarezzarmi il collo, una voce che sussuri dentro alla mia bocca.
e vorrei che qualcuno aprisse le mani davanti a me e ricordasse a me per prima che il ferro non è la mia materia, che di implodere nemmeno ci si accorge.
e vorrei una salita che mi portasse sulla cima dove il cielo di nuovo è infinito e rosso e denso.
e vorrei una scala dove salire scalza e non guardare giù mai più.
esausta quando tutte le forze sono impegnate a cercare nella nebbia un faro e fuggire appena il porto è sicuro.
la tempesta, sempre la tempesta come habitat naturale.
cercarmi, perdermi, lasciarmi, ritrovarmi, strattonarmi.
fare a pezzettini piccolissimi la me che non va, ricomporla desiderandola uguale, morirne quando esce diversa.
a vederti così sembri un soldato d'altri tempi, di quelli per cui vivere o morire è lo stesso, l'importante è solo la guerra.
allora sei tu il camino ideale dove gettare ciò che di fastidioso c'è, perchè tu sei fuoco e bruci, e cancelli, e sopporti, e non cedi.
e quando soffri lo fai in silenzio. e quando piangi invece si vede. e quando ti arrabbi invece gridi. e quando sei ferita invece usi le parole.
e non devi essere messa in dubbio: devi essere fuoco e sforzarti di alzare fiamme capaci di dissolvere quanto di peggio ti getteranno addosso.
possono farlo. se non riuscissi a bruciarlo o si vedrebbe o grideresti o useresti le parole.
dimenticano che nel silenzio il fuoco non scalda. muta cenere.
lunedì 17 settembre 2012
il cinghiale è un finlandese!
Ne vogliamo parlare? Ne vogliamo
parlare!
Delle pubblicità.
Considerando che praticamente l'ultimo
terzo di ferie l'ho trascorso ad aspettare la pioggia, stare sul
divano per vedere se il mio culo c' ha il memory system come i
materassi e guardare la tv, alea iacta est! Il dado è tratto.
Odio ufficialmente la tv. E la amo. E
la odio. E più la odio, più la amo. Perchè mi offre degli
splendidi spaccati di demenza. Che dovrei odiare per riuscire a
schiacciarmi i pochi neuroni che mi sono rimasti, tipo le bolle del
cellophane. Però che amo perchè dona alla mia demenza una
possibilità di catapultarmi un giorno nel mondo delle pubblicità.
Con successo.
Op! Ginocchia al petto, abbomba!
Riescono ancora a stupirmi i
pubblicitari. Ma cosa gli mettevano le mamme nel biberon? Brodo di
Dash?
Vogliamo soprassedere sull'immagine
della figura femminile che ne esce, tanto per dirne una?
No. Non vogliamo.
Si può riassumere in poche parole. Noi
donne saremmo tormentate da fastidiosi e continui pruriti intimi, a
proposito dei quali ci troviamo a fare delle lunghe chiacchierate con
le nostri madri, che ci consolerebbero sul fatto che capiti anche a
loro (genetica. Molto rassicurante).
Che se ti vesti di rosa dopo che il
bruciore ti ha impedito di andare in palestra con le solite amiche
sgallinate starai sicuramente meglio.
Splendida l'ultima che si presenta con
una fascia nera a coprirle la faccia per la vergogna e che decide che
non si deve più vergognare. Ehccerto. Perchè ad un pranzo
conviviale non offri a tutti una spalmata di pomata con un bel
“prosit”?!
Invecchiando finiremo a fare le postine
e un adesivo per la dentiera ci permetterà di fracassare gli altrui
baloon, mangiando bruscolini e noci come se piovessero. A casa degli
altri.
Che poi. Niente di più assurdo. La
maggior parte degli utenti al postino sparerebbe col pompa. Perchè
ce ne sbattiamo che l'ambasciator non porta pena: lui porta le
bollette.
Quindi due fette di torta gliele diamo
di cartongesso.
Però vabbè.
Se ci va bene, noi donne riusciremo
anche a sorprenderci. Si. Con la diarrea. Toh. Che stupore. La
diarrea. E l'uomo? No, per capire. Non gli capita oppure se gli
capita non si stupisce? La sua attenzione non è destata dalla
consistenza, dura o molle? Beh. Ecco. Riesce a sorprendermi davvero
questa diarrea. Pure se dell'uomo.
Potrebbe anche partirci un embolo e andare a caccia di finlandesi, anestetizzandoli nei boschi con la cerbottana. Ho appreso da questo spot che i finlandesi adorano vestirsi come dei cinghiali tra l'altro.
E qui sono vittima di un ulteriore disagio: il cinghiale che ti si siede sulle ginocchia se mangi pesante è in realtà un finlandese dai denti splendenti?
Ah, sono finiti i tempi in cui eravamo
così fortunate che ad un appuntamento al buio davanti alla Tour
Eiffel ti si presentava Jude Law. O quando dall'ufficio guardavi un
operaio bere la coca light e ti scoppiavano i bottoni della
camicetta, ammazzando i piccioni in volo.
Ora possiamo spaziare dalle caramelle
che piacciono a Marco e gli fanno ballare la paranza ad un
giardiniere obeso nudo che fa la cyclette. Devo capire il nesso con
il fertilizzante.
Devo davvero chiedere a Molly di darmi
una di quelle capsule molli e vedere di far partire le sinapsi!
Sono finiti i tempi, anche, dello
scoiattolo scoreggione che spegneva l'incendio e, grazie alla stessa
gomma da masticare, dei capezzoli estensibili, alla ispettore Gadget,
con cui suonare le ringhiere dei vicini.
Ora il bambino è diventato una
marionetta.
Non c'è limite al peggio.
Rivoglio davvero quella caspita di
capsula molle.
Voglio stare lucida ancora un attimo
per sostituire Giovanna, che sverniciava la ringhiera in
autoreggenti, con Marco. O il giardiniere. O il finlandese.
Che poi sarebbe un cinghiale.
In autoreggenti.
martedì 11 settembre 2012
PEZZI SENZA IMPRONTA
Pensavo, credevo e speravo di aver
fatto le scelte giuste.
Sempre.
Pensavo che la felicità bastasse per
farti allacciare le scarpe e iniziare a correre verso qualcosa.
Io ho corso.
Sempre.
Senza mai prendere fiato.
Sono inciampata, ho avuto freddo e
sete, e paura.
Ma ho avuto anche tanta gioia.
Ho dato e creduto.
Poi è tornato a farsi spazio in me il
presentimento che ci fosse un baratro.
Che la strada finisse, improvvisa.
E così succedeva ed è successo
sempre.
Mai, e dico mai, in tempo da non
caderci e rompermi tutte le ossa.
Eppure sono riuscita sempre a togliermi
le scarpe.
Rimanere stesa a terra per tempi
lunghissimi.
Paralizzata dal dolore e dalla
delusione.
Ho toccato con le mani le mie stesse
mani.
Solo per sentire se ero viva. Viva
nella misura di sopravvivere.
Ho atteso che i pezzi si rimettessero
assieme.
Ogni volta ne è uscita una me diversa.
Prova tu a romperti e ricomporti. Non
tornerai mai più uguale a prima.
Ad ogni modo sono ripartita, camminando
piano.
Fino a che dopo tanto camminare,
scalza, lo trovavo di nuovo.
Il motivo che mi facesse riallacciare
le scarpe e correre.
Il più delle volte sono caduta per non
aver voluto rallentare.
Per non aver voluto vedere, durante il
cammino, le parole che scolpivano i gesti.
Perchè è così.
I gesti parlano.
Le parole arrivano.
La testa dispone.
Il cuore ignora.
Impari a farlo se impari a conoscere la
crudeltà della gente.
La crudeltà nelle loro parole.
I giudizi che strozzano la gola.
Così impari a non cogliere più nulla.
E a perdere le indicazioni importanti.
Dicono si chiami fiducia.
Dicono si perda la fiducia.
Fino a questa volta.
In cui mentre con le mani tocco le mie
mani e mi manca il respiro.
Vorrei dire che ormai dovrei avere
l'esperienza di ricompormi.
Ma non trovo dei pezzi.
Manca qualcosa.
Manca la mia essenza.
Manca quella sensazione di aver
comunque fatto qualcosa di buono.
Manca l'abbraccio dell'aver fatto del
bene.
Manca il profumo di aver reso qualcosa
migliore di quello che era.
Ho guardato indietro.
Tutte le strade e tutte le cadute.
Mentre io porto i segni di ciascuna.
Mentre ciascuna mi ha cambiato.
Loro no.
Su nessuna di quelle strade e delle
cadute è rimasta la forma del mio corpo.
Intero.
O a pezzi.
Nulla di me.
E allora perchè ricompormi e
ricominciare a correre.
Se nemmeno qui rimarrà nulla della mia
corsa.
venerdì 7 settembre 2012
SARO' UN'ANZIANA STRONG!
Continuo a dirmelo.
Ci sono dei giornalisti al quale
consiglio spassionatamente un nodo sopra la testa con le orecchie,
stringendo forte, in modo che i vari lobi del cervello, entrando in contatto, facciano partire sui pattini qualche neurone.
In genere, il cronista di cui sopra,
inizia la frase con “anziano di...sessantanni”.
Maddreddeddios.
Non auguro a nessuno di essere presente
alla reazione della mia genitrice.
Caron dimonio con gli occhi di bragia.
Guiderebbe un kayak fin nell'ade trascinandosi dietro l'albo intero
dei giornalisti. E ogni tanto un colpo di pagaia sui denti a quelli attorno. Dal nervoso.
Perchè no. No e poi no.
A sessantanni non puoi essere definito
anziano. Non si è anziani neanche a settanta ormai.
Ma che dico. Pure a cento.
Io me lo sono chiesta quando deciderò
di diventare anziana.
Essendo nella fase che non ho ancora
deciso di diventare grande, posso fare un pensiero calibrato ed
equilibrato sulla pianificazione della mia età senile. Sono un'abile calibratrice di idiozie io.
Intanto nel momento in cui diventerò
anziana, al compimento dell'età che deciderò, voglio una festa. Con
gli spogliarellisti. Una specie di addio al nubilato al rovescio.
Dicono che si torna bambini da anziani.
Bene. Per il processo inverso bisogna passare per la gioventù,
l'adolescenza e la pubertà. E finire nuovamente con un girello e un pannolone
Le cose vanno fatte bene. Altro che no.
Con annessi e connessi. E spogliarellisti dismessi. Fiesta, the
sun also rises!
Massimo rispetto per i sette che sono stati espulsi da un ospizio per
comportamenti, definiti, antisociali. Bisboccia. Festini. Musica a
tutto volume. Girl-friends invitate a passare la notte con loro e
sfilate, spesso nudi (l'alcol disinibisce ad ogni età!), tra i
corridoi in allegra combriccola. The grandparents pride!
Un
ostello di universitari. Oddio. L'effetto ottico non dev'essere lo
stesso. Soprattutto in desabillè. Ma con un sistema di bretelle e
scotch si può ottenere una parvenza semi-sexy..
E
poi ci si può dare allo sport. Parapendio a 101 anni. La più
anziana a praticarlo ad oggi.
Porca
eva. L'osteoporosi in certi casi anziché sfarinarti le ossa te le
rende elastiche come le cicchebombe.
E credo ti renda anche
sfrontato.
Regina
indiscussa della mia personale hit parade dei nonni rock è l'
automobilista fuggitiva che non si è fermata al posto di blocco
della polizia. E loro l'hanno seguita. Con tanto di lampeggiante e
paletta fuori dal finestrino. Lei ha continuato a fuggire attraverso
le strette stradine di campagna dove viveva e che quindi conosceva
bene, impedendo agli agenti di superarla.
Mezz'ora
di inseguimento. In tutto qualche chilometro. Sì, perchè velocità
folle a cui era lanciata la nonna nella fuga erano circa 15km\h. E
quindi anche la macchina della polizia. Col suo lampeggiante.
Ma perchè non mi trovo mai al posto giusto al momento giusto!? Non riesco a non immaginarmi la scena senza avere l'impulso di chiedere a qualcuno di seguire la mia macchina alla stessa velocità! E' una roba talmente surreale che penso mi farei tamponare a forza di ridere!
Finchè
la strada si è allargata, l'agente è sceso, ha raggiunto a piedi
l'auto della criminale, ha bussato al finestrino, e le ha chiesto di
fermarsi.
E
lei è ripartita, minacciando il poliziotto di lasciarla in pace, col suo bastone da passeggio che teneva sul sedile a fianco. A 15km\h è fuggita per la seconda volta.
Altro
che anziani chiusi in casa a pregare.
Siamo
noi giovani che alla vista di una paletta rispolveriamo nel giro di
qualche secondo i sacramenti, il rosario, i misteri gloriosi,
gaudiosi e pure polverosi.
Vaffanculo anche a Mika e il suo we are young, you are strong, we're not looking for where we belong, che non sarebbe altro che siamo giovani, siamo fighi e non stiamo cercando un posto nel mondo.
Veramente young, veramente strong c'è la nonna fuggiasca.
E il mio posto nel mondo è il sedile del passeggero nella sua auto.
martedì 4 settembre 2012
DEVI PIEGARE BENE IL TUO VELO...
E' decisamente impossibile capire
quando sarà.
Ma ci sarà.
Potrebbe arrivare piano oppure tutto ad
un tratto.
Ma arriverà.
Forse sarebbe intelligente sperare che
arrivi presto, fortissimo e velocissimo.
Per poi andarsene esattamente alla
stessa maniera: presto, fortissimo e velocissimo.
In questo però nessuno è davvero
intelligente ed ingenuamente continuiamo a sperare che non si
presenti mai.
E' il dolore.
Quello che segue le decisioni, le
scelte di anni, la sopravvivenza, di mesi o qualche settima.
Se sopravvivi alle scelte che ti hanno
provocato sofferenza, che siano tue o tu le abbia subite, oppure
ancora tu sia stato costretto a metterle in atto, di sicuro avranno
uno strascico.
Un velo da sposa che ti segue,
malinconico.
Leggero fino al momento in cui si
stacca dalla tua testa, dai tuoi fianchi e dal tuo cuore,
strappandone una parte. In fondo al velo delle malinconie ci sono
pietre aguzze, vivide e trasparenti. Brillanti .
Sono le pietre degli errori, di ciò
che non puoi più cambiare, di ciò che non puoi dimenticare.
Ed il dolore inizierà quando ti
accorgerai delle pietre.
Quando il loro peso provocherà lo
strappo al cuore.
Non lo puoi evitare.
Non puoi impedirgli di sanguinare.
Non puoi fermare il dolore.
Però puoi voltarti un' ultima volta
indietro, prendere tra le mani quello strano velo da sposa, piegarlo
piano, scorgere tra trama ed ordito tutto ciò che ti bello e brutto
ha costruito la malinconia che lo compone e che ti sei trascinato per
giorni, settimane, magari anni... ognuno ha il suo velo.
Per tutta le durata che richiederà
piegarlo ordinatamente sarà straziante.
Da ultime tra le mani arriveranno
quelle pietre.
Nel frattempo avranno smesso di
brillare e saranno tornate ad essere errori.
Tutto finirà quando riporrai il tuo
velo in una valigia.
E quella valigia porta attaccati gli
adesivi di tutti i posti che potrai visitare da quel momento.
Hanno nomi conosciutissimi questi
luoghi, eppure le loro strade sono senza indicazioni.
Speranza. Fiducia. Saggezza.
Leggerezza. Disponibilità. Serenità.
Sto piegando un velo lunghissimo.
Non sono ancora giunte tra le mie mani
le pietre e so che, purtroppo, stanno ancora brillando.
Ma ho voglia di fare quel viaggio.
E allora continuo a piegare le mie
malinconie.
Pronta a spegnere le pietre.
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